Le elezioni politiche che si celebrano domani 4 marzo 2018 sono probabilmente, con un’unica eccezione, le più importanti e drammaticamente determinanti della storia della repubblica italiana, tanto da poter essere definite epocali.

GrassoBoldrini180303-001Nel 1948, in un quadro politico continentale e mondiale che vedeva i due blocchi Est e Ovest in fase di assestamento ma non ancora consolidati, la scelta tra Democrazia Cristiana e Fronte Popolare socialcomunista volle dire l’appartenenza ad un mondo piuttosto che ad un altro. Condurre una vita piuttosto che un’altra, per le generazioni di allora e per quelle future. La differenza tra il prolungare gli stenti e le tragedie portate dalla guerra mondiale o andare oltre, ricostruendo un paese moralmente e materialmente fino ad un boom economico incredibile.

Settant’anni dopo, non c’è una Guerra Fredda da combattere, anche dalla periferia. C’è una guerra Nord – Sud, Primo Mondo – Terzo Mondo, lo scontro di civiltà di cui Samuel P. Huntington aveva già profetizzato all’epoca dell’attentato alle Torri Gemelle, ma che nel frattempo si è fatto ancora più profondo, più drammatico ancora – se possibile – di quello che contrapponeva blocco comunista a blocco occidentale. Con il Patto di Varsavia alla fine fu trovato un modus vivendi per via diplomatica ed economica, con il fenomeno migratorio e quello parallelo del terrorismo sembra decisamente impossibile.

MatteoRenzi180303-001La partita, elettorale prima e politica poi, si gioca tutta sulla dicotomia tra migrazione e invasione, due categorie con le quali viene percepito lo stesso fenomeno. L’Italia già messa in ginocchio dall’assetto economico favorito e incentivato dall’Unione Europea (attuata non nella versione utopica del Manifesto di Ventotene degli Spinelli e dei Rossi, ma in quella scellerata dell’asse franco tedesco per evitare il quale avevamo combattuto ben due guerre mondiali devastanti) si trova ad affrontare l’impatto del flusso migratorio incontrollato (a meno di non voler dar retta alle favole della buonanotte di apparatchik come Minniti e Gentiloni e di chi ha interesse a spacciarli per capaci governanti e amministratori) e costretta a decidere nello spazio di ventiquattr’ore se accettarlo o rigettarlo. O tirare in terza ipotesi a vivacchiare un altro po’, sperando che eventi esterni e imprevedibili le tirino fuori dal fuoco le castagne (meteoriti, glaciazioni, l’età dell’Acquario o chissà che altro).

Domani si vota. I campi dove indirizzare quel voto con mano comprensibilmente esitante sono essenzialmente tre.

Elezioni: Bersani, ho affetto per Prodi, succhia altro osso?A “sinistra”, il partito democratico ormai è il partito di Renzi e dei “renzini” che, come Dario Nardella, vorrebbero candidarsi a governare l’Italia e le sue città in questo primo scorcio di terzo millennio che ha dimostrato di essere pronto a far esplodere come una bomba nucleare di ultima generazione tutti i problemi incancreniti dall’ultimo scorcio del millennio precedente. A sentire parlare Renzi e i “renzini”, la proposta PD è l’unica accettabile, perché verificata dai fatti. Tre anni di governo, al termine dei quali non si capisce se il lavoro è in ripresa o ancora più precario, i redditi da consumo sono aumentati o ulteriormente compressi, le scelte politiche sui servizi e i diritti di cittadinanza sono migliorate o ulteriormente rubricabili come vergognose. Nella stessa area, contendono spazio a Renzi il rassemblement di Bersani, D’Alema e del sinistro Enrico Rossi (che continua imperterrito malgrado si sia messo fuori da qualsiasi discorso di maggioranza costituzionale a sgovernare la sua infelice Regione), ed il “movimento “Liberi ed Uguali” degli impresentabili Grasso e Boldrini che non hanno altro da vantare oltre alla farragine di cinque anni di legislatura bicamerale se non prese di posizione sistematicamente anti-italiane e odiose, in nome dell’Europa ce lo chiede.

LuigiDiMaio180303-001Al centro, o dio solo sa dove, il Movimento Cinque Stelle. Come tutti i movimenti nati dalla protesta, ha avuto una insostituibile ed impagabile funzione dirompente del sistema. Il problema si pone al momento di candidarsi a governare, lì bisogna smettere di essere estemporanei come i futuristi di Marinetti o i dannunziani, e dotarsi di una struttura di partito e di una cultura di governo più solide. Nel 2013, lo showman Beppe Grillo e la sua voglia di protagonismo regalarono alle “sinistre” cinque anni di governo che si sono rivelati un disastro per il paese. Di questi anni, i Cinque Stelle sono correi al pari del partito democratico e dei suoi fiancheggiatori. Le proposte politiche intermedie – incarnate nell’allucinante governo della capitale da parte di Virginia Raggi – hanno destato più ancora perplessità. Basterà adesso il neo-democristiano Gigi Di Maio e la sua squadra di super-governo a far sì che i prossimi cinque anni non si traducano in un disastro ancora maggiore?

BerlusconiSalviniMeloni180303-001A destra, c’è una coalizione di fatto, che stenta a diventare almeno famiglia. Berlusconi sogna la rivincita del 2011 (in parte l’ha già avuta). Vorrebbe tornare quello di prima dello spread, ma sa di avere nemici potenti (quelli che per poco non gli mangiarono Fininvest in una nottata) e non ancora del tutto sconfitti. La riserva mentale dell’inciucio con Renzi – qualora le urne non dessero responsi netti – è potente in lui, come il Lato Oscuro della Forza. E il danno in tal caso sarebbe probabilmente irreparabile. A fianco a lui, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno idee chiare e ricette altrettanto chiare, le uniche forse in grado di far uscire questo paese dal coma e dall’agonia in cui i progressisti di Napolitano, Renzi & c. l’hanno infilato. Hanno l’entusiasmo, avranno i numeri?

La mano dell’elettore che domattina a partire dalle sette impugnerà la matita copiativa per la diciottesima volta nell’epoca repubblicana per scegliersi il governo avrebbe tutte le ragioni di tremare. Eppure è bene che non lo faccia. Stavolta non c’è un ombrello NATO a ripararci dalle sciocchezze che dovessimo fare nella cabina elettorale. Stavolta è vita o morte, davvero.